Coerentemente con la sua accezione semantica di Unione, la parola yoga implica la confluenza degli innumerevoli stili, costituiti da specifici approcci pratici e modelli teorici, che si sono originati ed evoluti, nel tempo, dalla matrice originaria, oggi identificata con il nome di Yoga Classico o Yoga Darśhana, termine sanscrito traducibile con che sa, che insegna, o che rivela.
Le tipologie di yoga riconducibili alla millenaria tradizione integrale, sono caratterizzate da specifici fattori distintivi, passati attraverso il vaglio di processi che, pur non propriamente definibili scientifici, includono lunghe fasi di sperimentazione, osservazione, e condivisione, secondo un’ottica molto diversa rispetto alla pluralità di pratiche, estranee a qualunque forma di sistematicità, che oggi rischiano di essere interpretate come derivazioni dello yoga, in quanto ne utilizzano la nomenclatura.
All’interno del dinamico contenitore denominato yoga, si distinguono, in realtà, un numero assai esiguo di modelli conoscitivi di riferimento, ciascuno coincidente con una diversa via e rivolto verso un’unica direzione, la quale si può sintetizzare con efficacia nel concetto di Autorealizzazione, e nelle relative accezioni.
Tali modelli conoscitivi, o vie, sono:
– Rāja-yoga;
– Hatha-yoga;
– Jñāna-yoga;
– Bhakti-yoga;
– Karma-yoga;
– Krya-yoga;
Secondo l’approccio universalista della tradizione yogica, tali diramazioni originerebbero dalla necessità di sviluppare gli specifici aspetti disciplinari adatti ai diversi temperamenti della natura umana, o in una visione alternativa, alle fasi che scandiscono la vita individuale.
Con il termine Rāja-yoga (yoga Regale) si intende un tipo di yoga eminentemente meditativo il cui fine essenziale è l’esperienza sintetizzata negli Yoga Sutra di Patanjali con la formula Citta Vritti Nirodha, che significa calmare le fluttuazioni mentali, ritenute fonti primarie della sofferenza. Dalla prospettiva del Rāja-yoga , la soppressione (nirodha) del flusso incessante dei pensieri legati ai desideri egoici e agli impulsi strettamente materialistici (vritti), è la premessa per il superamento della condizione di ignoranza (avidyā) in cui si generano naturalmente gli egoismi, le avversioni, e le bramosie che inquinano l’animo umano.
Il Rāja-yoga viene spesso menzionato in contrapposizione allo Hatha-yoga, che coincide con lo stile yogico maggiormente focalizzato sul livello fisico.
Il termine haṭha significa forza, o energia, o applicazione. L’Hatha-yoga sostituisce alla concezione (upanisadica) del corpo come centro originario della sofferenza, una visione positiva e funzionale del veicolo fisico quale strumento fondamentale per l’emancipazione dell’individuo dalla condizione di avidya, individuata da ogni tipologia di yoga, andando a costituire un approccio in cui la pratica psicofisica si integra con la dimensione spirituale.
L’effettivo campo d’azione dello Haṭha-yoga è il corpo sottile (sūksmaśarīra), che si dipana intorno al corpo fisico come una perfetta replica.
All’interno del corpo sottile, si delineano i canali energetici (nāḍi), dei quali si evidenziano i tre principali: il canale sinistro (Ida) entro cui fluisce l’energia rivolta alla sfera emozionale, il canale destro (Pingala) entro cui fluisce l’energia necessaria all’attività motoria e mentale creativa, e il canale centrale (Susumna) che rappresenta il flusso evolutivo, in cui è possibile realizzare la condizione di equilibrio e di armonia tra le diverse polarità energetiche.
Lungo il canale centrale, Suṣumṇa, sono allineati sei dei sette maggiori centri energetici (chakra).
Il praticante di Hatha yoga persegue quindi lo stato di Samadhi, che coincide con l’affrancamento dall’ignoranza (avidya), favorendo il fluire dell’energia lungo il canale centrale Susumna, dal primo chakra, idealmente localizzato in corrispondenza della zona fisica perineale, al settimo chakra, posto sulla sommità al centro dello scalpo, emblema di un innalzamento coscienziale, a partire dal piano simbolico.
Lo Jñāna-yoga è, invece, un approccio allo yoga incentrato sui concetti di conoscenza e di saggezza, infatti, al termine sanscrito Jñāna si associa il concetto di conoscenza realizzativa, quale forma di gnosticismo (dal greco gnòsis: conoscenza) che esula dall’ambito speculativo della conoscenza mentale, ma anche intellettuale e culturale.
Lo Jñāna-yoga si basa sui principi fondanti della scuola Vedānta:
– viveka (il discernimento tra il reale e l’irreale, personalità e il Sé sovrapersonale);
– vairāgya (la rinuncia agli oggetti terreni e paradisiaci);
– tapas (le pratiche ascetiche): il controllo dei pensieri, il controllo degli organi sensoriali, la rinuncia alle attività che non sono parte dei doveri del Dharma, la fermezza interiore rispetto alle avversità e agli opposti piacere-dolore, la fede rispetto all’insegnamento, la concentrazione perfetta);
– mumukṣutva (il desiderio di emancipazione).
Il Bhakti-yoga rappresenta lo stile di yoga maggiormente volto alla dedizione verso il divino, infatti, la parola sanscrita bhakti significa devozione, amore. È una via che annovera diverse tipologie di pratiche ritualistiche e cerimoniali, quali canti o orazioni con esplicita valenza di sacralità. Il Bhakti-yoga è una delle tre diramazioni yogiche che la Bhagavad-gītā indica come funzionali all’autorealizzazione, insieme allo Jñāna yoga, e al Karma yoga, attraverso l’insegnamento di Krishna, personificazione di Brahma e divino maestro del guerriero Arjuna:
Mio caro Arjuna, solo servendoMi con una devozione esclusiva posso essere compreso e visto così come sono di fronte a te. Non si può penetrare in altro modo il mistero della Mia persona [1].
Tradizionalmente, si tende a considerare il Bhakti yoga la via più diretta, e dualistica, per l’emancipazione dallo stato di avidya, poiché consiste nell’alimentare uno stato emozionale elevato e privo di contaminazioni, favorito dalla ricerca della conoscenza del divino, inteso come alterità e, quindi, come elemento separato da sé.
Il Karma-yoga, rimanda alla radice sanscrita kṛ, il cui significato principale fare è altresì inteso come azione, lavoro, prodotto, effetto, ed è pertanto considerato lo yoga dell’azione. La via del Karma yoga rifugge dall’esclusivo distacco meditativo e dalla rinuncia alle attività mondane, ricercando, al contrario, ogni occasione di partecipazione e servizio alla vita. Nella Bhagavad Gītā si afferma chiaramente la superiorità del Karma-yoga rispetto all’inattività: Nessuno raggiunge lo stato dell’ inazione evitando di compiere azioni. Nessuno raggiunge la perfezione rinunciando semplicemente all’azione [2]. Attraverso il karma-yoga ogni azione diviene celebrazione della vita e sforzo di realizzazione.
Il Krya-yoga rappresenta un approccio allo yoga essenzialmente spirituale, sebbene annoveri una serie di pratiche fisiche, consistenti in esercizi motori volti all’Ottimizzazione dei flusso energetici, e in tecniche di respirazione che si distinguono per l’assenza di forzature.
Il Krya yoga si sviluppa intorno all’Armonizzazione tra la vita umana e la vita naturale, dalla quale l’individuo può attingere sia le risorse per il proprio funzionamento energetico, quali il cibo salutare, la luce del sole, l’aria salubre, sia il riferimento ai ritmi ciclici cui aderire per una progressiva liberazione. Tuttavia, secondo i principi del Krya yoga, l’autentico stato di Autorealizzazione, può essere perseguito solo accettandone la distanza dallo stesso ordine naturale a cui è necessario, in una fase iniziale, aderire. E’ questo lo stile di yoga in cui si palesa più nitidamente come l’ideale perseguito, con consapevolezza, dai praticanti esperti non sia sempre inscrivibile all’interno del naturale ordine evolutivo.
[1] Bhagdavad Gita, L.O.C.E edizioni, Roma, 2013, capitolo 11, versi 53-54, pag. 456.
[2] Bhagdavad Gita, L.O.C.E edizioni, Roma, 2013, capitolo 3, verso 4, pag. 128.
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