Da una prospettiva neuroscientifica, la Respirazione viene generalmente inscritta tra le attività regolate dal sistema nervoso autonomo, in quanto atto indipendente dalla volontà individuale e quindi, assimilabile a tutte le funzioni vitali che si autodeterminano e si autocontrollano come il battito cardiaco, la rigenerazione cellulare o il flusso ematico.
Dai primi attimi di “vita”, inclusi quelli intrauterini antecedenti alla nascita, la soppravvivenza di ciascuno è infatti scandita ritmicamente e continuamente dall’attività respiratoria, oltre ad esserne vincolata da un rapporto di dipendenza diretto, poiché la cessazione dell’attività respiratoria comporta la cessazione delle funzioni vitali e quindi la fine della stessa vita per come la conosciamo.
Analogamente, una respirazione disfunzionale, ovvero ostacolata nella sua ampiezza, intensità, profondità da blocchi e difficoltà di varia natura, si associa spesso a situazioni di disagio psicocorporeo che possono accostarsi a sintomatologie clinicamente più gravi, quali stati ansiogeni diffusi o persistenti, tendenze depressive, attacchi di panico.
Grazie ad un gruppo di ricercatori della Stanford University, il cui studio è stato pubblicato sulla rivista Science, il 31 marzo 2017 [1], oggi sappiamo che i rapporti tra la Respirazione e le Attività Cerebrali deputate a indurre stati emozionali di calma o di agitazione, sono regolati da un piccolo gruppo di neuroni situati nel tronco cerebrale.
Prima di questa scoperta, l’identificazione dei centri e dei meccanismi neuronali che presiedono ai rapporti fra Respirazione e Funzionalità Cerebrale era avvolta dall’incertezza, mentre la Correlazione esistente tra Attività Respiratoria e gli Stati Emozionali già menzionati di calma o di agitazione era ampliamente documentata da un folto filone di ricerche, in particolare, da quelle incentrate sulla Meditazione.
La Meditazione tradizionale infatti, insegnata attraverso la filosofia Vedanta piuttosto che Buddhista, affonda i suoi cardini proprio nel Controllo della Respirazione, espressione linguistica che, di per sé, coincide con la traduzione letterale del termine Pranayama, terzo elemento del Sistema Yogico Integrale, composto dalle parole Prana che significa Energia, Respiro, Vitalità o Forza, e Ayama che significa Estensione o Controllo.
La pratica del Pranayama indica quindi la pratica del Controllo sulla Respirazione.
Analogamente alla visione scientifica, che pone in stretta correlazione l’Attività Respiratoria con l’assunzione di stati emozionali più o meno calmi e funzionali (a loro volta regolati da funzioni cerebrali superiori), la tradizione yogica conferisce al Pranayama, quale Scienza del Controllo Respiratorio, una valenza fondamentale e propedeutica al Controllo sull’Attività Mentale ed Emozionale, alla Valorizzazione delle Risorse Attentive, e al Monitoraggio del proprio Comportamento.
In parole semplici, Scienza e Tradizione convergono pienamente sul ruolo e sul rapporto della Respirazione con la Vita Emozionale e Mentale degli Individui.
A partire dall’Osservazione del ritmo, del flusso e della durata del proprio Respiro, è dunque possibile coltivare un atteggiamento interiore di calma e padronanza di sé, favorendo contestualmente la propria capacità di rimanere in uno stato di Presenza e Chiarezza mentale.
ll controllo del Respiro consiste nell’ Interruzione dei flussi dell’ Inspirazione e dell’ Espirazione.
(Yoga Sutra, II, 49).
La Respirazione Yogica prevede l’unione armoniosa e fluida della Respirazione addominale, toracica, e clavicolare, che devono articolarsi secondo una naturale successione, libera da tensioni o contratture.
Inoltre, la pratica del Pranayama secondo la visione di Patanjali, deve avvenire assumendo una “posizione stabile” e la postura deve consentire l’allineamento armonico della colonna vertebrale e l’appoggio delle mani in grembo. Il Pranayama, o Controllo della Respiro, si applica ad ognuna delle tre fasi in cui si articola la Respirazione stessa:
– Inspirazione o inalazione (sanscrito: Puraka),
– Espirazione o esalazione (sanscrito: Rechaka),
– Ritenzione o Trattenimento (sanscrito: Kumbaka).
Il Kumbaka è eseguibile in due modalità complementari che coincidono, la prima con la sospensione del respiro al termine dell’Inspirazione (in sanscrito Abiantara) e il conseguente trattenimento dell’aria nei polmoni, e la seconda con la sospensione del respiro al termine dell’Espirazione (in sanscrito Bahia) e il conseguente trattenimento dell’aria fuori dai polmoni.
Una pratica semplice, adatta sia a coloro che vogliono approfondire la conoscenza delle tecniche respiratorie derivanti dalla trazione yogica (in molti casi supportate da studi scientifici) sia a coloro che desiderano semplicemente migliorare ed arricchire il proprio stile di vita , ed applicabile ad ogni circostanza quotidiana, può sintetizzarsi , nonché attuarsi, nei tre passaggi che seguono:
- Prendere Consapevolezza del proprio Respiro: pur essendo la respirazione una funzione “autonoma”, ricondurre l’attenzione su questo atto fondamentale per la Vita, durante la giornata, coincide con un atto di attenzione e di concentrazione sul momento attuale, ovvero sul tanto celebrato “qui ed ora”. Questo stato di “presenza” è funzionale ad un miglioramento progressivo delle proprie facoltà mentali e, quindi, emozionali e comportamentali.
- Osservare la Qualità del proprio Respiro: durata, intensità, ampiezza, ed eventuali differenze tra l’inspirazione e l’espirazione. Senza giudicare né sforzarsi di apportare modifiche, semplicemente osservare.
- Associare un’ Intenzione cosciente, ed appropriata allo stato emotivo del momento specifico, ad ognuna delle quattro fasi respiratorie sopra descritte, e ripetere mentalmente il proprio Intento:
– “Inspirando, Inspiro Quiete, Calma, Pace. Oppure: Forza, Vitalità, Freschezza.” Evocando, naturalmente, qualsiasi sensazione funzionale al proprio benessere relativo al contesto in cui ci si trova.
– A “Polmoni pieni“, trattengo il respiro e lascio che questa sensazione pervada interamente il mio sistema psicofisico, rigenerandolo e apportando grandi benefici.
– “Espirando, Espiro la stanchezza mentale, la confusione, il senso di disorientamento, l’angoscia”, o qualsiasi sensazione disfunzionale al proprio benessere attuale.
– A “Polmoni vuoti” trattengo il senso di vuoto “interiore”, dalle cui profondità sono consapevole che ha origine la sensazione e lo stato emozionale di cui avverto il bisogno, e a cui attingo pienamente ad ogni successiva Inspirazione (riprendere dal passaggio 1.).
Tra le diverse tecniche di Pranayama (Ujjay Pranayama, Nadi Sodhana Pranayama, Sheetali Pranayama, Seektari Pranayama, Kapalabhati, etc.), una particolarmente consigliata per favorire il perseguimento di un persistente e diffuso Stato di Benessere Psicofisico è la pratica del Sama Vritti Pranayama, particolarmente indicata proprio per favorire la calma e la concentrazione sia a livello mentale sia a livello emozionale, oltre che in grado di agire su piani di Coscienza profondi ed apportare Armonia.
Leggi anche: Il Respiro “Quadrato” per placare le “Fluttuazioni” Mentali e raggiungere l’Equilibrio Emotivo.
Riferimenti:
[1] https://science.sciencemag.org/content/355/6332/1411
The calming effect of breathing – Breathing control center neurons that promote arousal in mice –
Kevin Yackle, Lindsay A. Schwarz, Kaiwen Kam, Jordan M. Sorokin, John R. Huguenard, Jack L. Feldman, Liqun Luo, Mark A. Krasnow